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Canale Jannetta, una cavalcata invernale sul Paretone del Gran Sasso

Il 27 e 28 dicembre 2015 Cristiano Iurisci, Gabriele Paolucci, Luca Gasparini, hanno salito il Canale Jannetta la storica via aperta da Enzo Jannetta il 19 luglio 1922 al Paretone della Vetta Orientale del Gran Sasso. Il report di Luca Gasparini.

Vigilia di Natale, vedo mio padre avvicinarsi e poi soffermarsi mentre preparo lo zaino da montagna. Un po’ incuriosito mi chiede cosa sto progettando viste le anomale condizioni di questo strano e anomalo inizio inverno, senza – o quasi – neve e ghiaccio. – Ghiaccio o roccia!? – mi chiede. Ci penso un po’, poi con il viso illuminato dalla gioia gli rispondo: “Papà abbiamo pensato di scalare il Paretone!”

Senza specificare o senza aggiungere altro, per quelli dell’Appennino, il ‘Paretone’ è uno e uno solo, e cioè l’enorme appicco che dalla vetta orientale del Corno Grande precipita per quasi 1500 metri quasi direttamente sulle colline teramane, con vista mare Adriatico! Una parete visibile fin dalla costa e che domina d’un balzo una magnifica valle fitta di boschi e minuscoli borghi, purtroppo violentati dalla nuova autostrada che, come un coltello, sembra ferire l’armoniosità del paesaggio.

Casale San Nicola è l’ultimo dei borghi, il più prossimo all’enorme parete, ed è da li che il 27 dicembre io, Cristiano e Gabriele lasciamo la nostra auto per iniziare questa bellissima avventura. Il nostro progetto è salire lo Jannetta, la prima via aperta nella lontanissima estate del 1922, per l’appunto dal romano Enrico Jannetta e compagni. A quei tempi, 1922, Enrico Jannetta è già un celebre scalatore, ma è con questa salita che la sua fama giunge intatta, se non ingigantita, fino ai giorni nostri. Data l’importanza di questa salita fatta da uomini coraggiosi ed eccezionali che, dalla grande città, partivano con pochi e quasi inadeguati mezzi, per esplorare queste ardite ed inespugnabili (per quei tempi) pareti, che da romano de Roma, non potevo non accettare di ripetere un itinerario così pregno di storia, di avventura e di alpinismo.
Come già accennato, basta nominare la parola “Jannetta” per mettere ansia e paure in molti alpinisti. Per alcuni quella sua via al Paretone è una immonda salita su pericolosi sfasciumi, per altri come anche per noi, invece, un sogno da realizzare!

Salire lo Jannetta non è stato affatto facile come ci aspettavamo che fosse, e questo soprattutto per le non belle condizioni della via in un inverno così avaro di freddo e neve. Aveva ragione papà a farmi quella domanda! Nonostante tutto è stata una avventura bella ed emozionante, e anche se nessuno – o quasi – errore è stato commesso, proprio a causa di quelle pessime condizioni, sono stati necessari quasi tre giorni per tornare a Casale San Nicola a riprendere la nostra macchina. La poca e non trasformata neve, unite alla mediocre qualità della roccia di alcuni tratti, non ci hanno permesso di correre, anche se l’orologio di queste corte giornate ci imponeva di fare.

É pomeriggio del 27 dicembre quando iniziamo a salire il non breve sentiero (traccia) che ci porterà al Forcellino dove previsto il primo (e unico) bivacco. Lungo l’avvicinamento la parete incombe sempre più, mi fa e ci fa paura. Intorno i 1200 m di quota la neve è presente ovunque, ma è leggera e priva di fondo anche tra gli alberi. Si sfonda anche se oltre un mese che non nevica. Strano. Più ci avviciniamo più la parete appare spoglia di neve e, anche se sappiamo benissimo che è solo un effetto ottico e che le cenge ove si posa la neve non scompaiono che solo dalla nostra vista, comprendiamo benissimo che c’è poca neve. Quello che però ci preoccupa è la sua qualità che se fosse simile a quella che stiamo calpestando stiamo messi male!

Le mie perplessità le tengo per me, non voglio influire sulla gioia di questi momenti. Con un’ultima erta finale fuori traccia (dentro il canale si sfondava troppo!) raggiungiamo le strane guglie rocciose de il forcellino dove è previsto il bivacco, in pianura è già buio e noi iniziamo a prepararci una degna cena a base di zuppe di legumi. Poco dopo è notte fonda e finita la nostra porzione non avendo altro da fare ci infiliamo dentro i rispettivi sacchi per passare la notte. Sono appena le 19!

Alle tre del mattino un paio di sassi sotto la schiena mi svegliano, fa freddo, ma sono fortunato perché nonostante tutta la situazione, ho dormito tanto! I piedi sono freddi, osservo i miei compagni rannicchiati vicino a me e penso di essere matto a trovarmi qui!

– Dove sono? Cosa ci facciamo qui al freddo? –
Esco dal sacco e illumino con la frontale Cristiano e gli chiedo se avesse sentito anche lui quei rumori provenienti dalla parete. Lui mi risponde di sì e mi dice di stare tranquillo, sono delle piccole frane, tipiche di questo posto!

La parete è li davanti e io a tutto penso tranne che ad essere tranquillo: l’agitazione per un attimo mi assale come anche i pensieri ad esso correlati, poi la osservo di nuovo e tutta l’ansia mi sparisce poiché ammaliato da quelle rocce e chiazze di neve così distintamente illuminata dalla luce della luna piena che si stagliano in un cielo nero pieno di stelle! Splendido.

Poco dopo suona la sveglia. – Cristia! alziamoci! – Da subito tutto mi appare più chiaro, so di essere qui con dei compagni fantastici pronti a condividere in pieno paure ,gioie ed emozioni! Tutte le perplessità spariscono e non vedo l’ora di iniziare a salire anche se per me si tratta di un versante ignoto in una delle parti più selvagge dell’Appennino!

Alle 6:00 siamo tutti e tre fuori dal sacco, ci prepariamo facendo una colazione molto rapida, e alla fine guardandoci negli occhi senza alcun commento attacchiamo il nevaio di sinistra del forcellino! Il nostro obbiettivo è arrivare il prima possibile al famoso M1… denominato così dai primi salitori, dove M, cari amici non sta per misto1, ma come sinonimo di rifiuti biologici umani. Potete dunque immaginare! Una volta lì, orologio alla mano, valutiamo se continuare o meno.
Dopo un tratto facile di 150 mt con pendenze massimo di 50° ma su neve farinosa che ci sfiancano subito ecco sorgere il sole!

Il sole illumina la cima e dentro di me subito penso – madonna quant’è lontana! – Poi i raggi arrivano anche ad illuminare noi. Fa immediatamente caldo e Cristiano si disfa del giaccone e prosegue con la sua solita grinta anche se il pendio diviene presto più ripido e senza neve. Salti rocciosi ed erbosi si susseguono ed eccolo! L’M1! uno dei tratti chiave della nostra galoppata, un tratto di appena 70m che ci richiederà quasi due ore! Perplesso osservo bene il tratto e i passaggi di questo M1 e dico a Cristiano se veramente pensa di passare di lì! L’erba è ripida e le rocce appaiono rotte! Nel supere questo tratto ho compreso appieno cos’è – il classico misto appenninico! – Ce vole coreeee!-

Con l’adrenalina a mille passiamo e superiamo il tratto che, poco prima e da sotto, ci sembrava impossibile, che ci ritroviamo su una grande cengia erbosa/nevosa da dove osserviamo – lontano – il fatidico secondo tratto Misto, oops, di M2! Sono le 10:30. L’altimetro segna un modesto 2050 m, praticamente stiamo ad un terzo della via…

Sento aumentare l’agitazione per quei due terzi che ancora ci aspettano, di dover ancora passare e vedere quei tratti che rendono bello e allo stesso tempo inquietante il Paretone, come i Pilastri, il nevaio della Rondine, la Farfalla, il diedro di Mephisto, la Guglia di Banbù… La peroccupazione più grande è persò sulle condizioni del canale che ci vede perennemente costretti a trovare la linea più logica e facile tra roccia e neve visto lo scarso innevamento. Devo ammettere che da qui in poi la paura che si faccia notte nel cuore del Gran Sasso inizia a tormentarmi!

Poco oltre arriviamo su quei tratti dove la neve non è portante e le placche scoperte di roccia sono facili ma lisciate e levigate dalle valanghe, frane e torrenti d’acqua del disgelo, in una scalata mai veramente difficile ma molto delicata.
Non sono proprio abituato a salire con i ramponi su questo terreno, qualcosa mi inventerò! Passo dopo passo io e Gabriele seguiamo Cristiano, e pensare che tutti e due assieme facciamo gli anni di Cristiano. Tutto questo che sto facendo l’ho voluto e cercato, per questo mi impegnerò a portarlo a termine! Ogni tanto si riesce a mettere con qualche dado o chiodo e dopo 200 mt di traverso arriviamo sotto l’M2. Gabriele scalpita, desidera ora lui mettersi davanti a mettersi alla prova, io invece mi faccio da parte. Ci sarà tempo per passare al timone. Mentre è giusto che Cristiano si riposi.

Gabriele parte per il lungo tiro… un misto facile III/III+, ma senza ghiaccio e senza neve non è per niente facile. Sopra di noi ci osserva la farfalla, uno strapiombo giallastro di oltre 200m una gigantesca ferita aperta della frana del 1897. Meglio non pensarci… L’unica cosa che mi passa per la testa e che Gabriele sia il più veloce possibile poiché dai primi metri comprendo che manca di quella esperienza giusta per affrontare in tranquillità certi terreni. La sua inesperienza però dura poco, presto capisce come salire in velocità ma in sicurezza e ci chiama in sosta per la seconda volta. Anche l’M2 è finito!

E’ chiaramente tardi, i dubbi sulla riuscita della salita prima di notte aumentano ma ho imparato a gestire meglio la tensione,anche se sono conscio che da qui in poi dovrò usare veramente tutto il mio impegno per arrampicare bene e continuarlo a fare fino alla fine, anche fosse notte…

Lo scenario dietro di noi è spettacolare con l’immensa piana di Campo imperatore illuminata da un tiepido sole invernale con dietro, oltre le nebbie, l’enorme groppa della Majella, al contrario all’ombra e in primo piano ci appare lo spigolo del Paretone con le ali giallastre della Farfalla, il luogo isolato e impervio dove corrono le vie più dure del Gran Sasso.
Più a monte la roccia lascia il posto alla neve e a giudicare dalla velocità di salita di Gabriele pare essere migliore! Dai che ci avviciniamo alla base del Terzo Pilastro. – Ormai ci siamo dentro, tornare indietro è troppo lontano – ci urla Cristiano. Gabriele intanto prosegue veloce anche nei brevi tratti di misto successivi tanto che comincio ad essere fiducioso nell’uscire senza far notte. Mi volto verso Cristiano e gli pongo la domanda se faremo in tempo o meno. Lui mi risponde in maniera criptica e osservando la vetta lontana e l’orologio che indica le tre del pomeriggio torno presto alle mie perplessità e preoccupazioni.

In breve arriviamo al nevaio della rondine, sotto il Terzo Pilastro, qui la pendenza aumenta, forse 60 gradi e di nuovo si sfonda. Le spalle e i polpacci cominciano a dolermi e accuso e un po’ di nausea: forse ho bevuto poco. Sono quasi esausto mentre vedo anche i miei compagni un po’ preoccupati e molto stanchi. Mi fermo e dico ragazzi beviamoci l’ultimo mezzo litro di Gatorade e ripartiamo. Gabriele ce l’ha in fondo allo zaino, Cristiano crede di averlo ma preferisce lasciarlo per la discesa, perciò stringo i denti mi succhio un po’ di neve gelata e dico: “…vabbè andiamo!”

Siamo nel cuore del Paretone. Non siamo venuti qui a giocare, sappiamo che sta facendo notte ma dobbiamo finire gli ultimi tiri di misto prima che il buio si faccia totale. Magari in alto è tutta neve. Poi penseremo alla discesa. Un passo alla volta – mi dico – male che vada possiamo passare la notte al reparto invernale del rifugio Franchetti, sul versante opposto e l’indomani scendiamo con tranquillità!

Usciti dal nevaio della rondine con un tratto addirittura su ghiaccio, tanto che abbiamo avvitato anche un paio di viti da ghiaccio, poco a monte l’amara sorpresa di trovare altra roccia. Il canale Jannetta torna ad essere completamente privo di neve il che significa arrampicare di nuovo su placche rocciose non difficili d’estate ma con i ramponi e piccozze le cose cambiano e noi abbiamo fretta di uscire! Di nuovo roccia liscia e poco chiodabile. A valle, in direzione dell’Adriatico, l’ombra del Corno Grande si allunga. Sono certo che si farà buio.

Superato anche questo tratto Gabriele si sente provato, io come al solito non me la sento di andare davanti (sarei molto lento), perciò non rimane che convincere Cristiano a ripartire da primo. Parte ancora più deciso ma non è convinto se la linea è quella giusta o sbagliata, ma non ha scelta che guadagnare quota. Poco dopo accendiamo le frontali. Quando arriviamo in sosta Cristiano ci dice di aver individuato prima che fosse buio totale un lungo traverso a destra su neve e misto. Sopra di noi pare aperta parete, ma ormai non si vede più nulla. Cristiano intanto sale e la sua voce di dice di poter proseguire di conserva seppur protetti poiché dove stava lui pareva essere più agevole la salita. Superato un tratto su misto al buio e in traverso le difficoltà si abbattano e ritroviamo la neve. Si sfonda, si fatica ma non è così precaria e ripida da rallentarci ulteriormente. E’ solo questione di poche decine di metri e siamo fuori – penso -.

Usciamo in cresta che sono le 19:00. Un urlo di gioia, una stretta di mano con i miei compagni, mi sembra di essere uscito da un lungo e sofferto sogno. Siamo stati bravi, sono stato bravo. Per l’ennesima volta nel mio piccolo mi sono sentito protagonista di quelle avventure alpinistiche che spesso leggo nei libri di montagna. Ora ci aspetta la ferrata Ricci e poi nanna al Franchetti.

Sono stremato, tra poco tutta questa tensione andrà via e sarò il ragazzo più felice della terra !! Osservo i miei compagni mentre sistemiamo le corde per la discesa e penso a quanto sono fortunato a essere qui, con loro, in questo preciso istante… perché è grazie a loro se questa storia oggi merita di essere raccontata.

di Luca Gasparini

SCHEDA: Canale Jannetta, Paretone del Gran Sasso

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